L'origine
del rapporto fra uomo e animale, così come la riflessione
sull'animale da parte dell'uomo, inizia nella notte dei tempi.
Tuttavia il rapporto iniziale era un rapporto naturale
(cacciatore/preda) o del tipo amicale. Il contatto fra questi due
poli era quindi sì conflittuale, ma non nettamente diviso fra
uomini, portatori di diritti, e animali, visti come cose, come utili
oggetti, come mezzi. La situazione cambiò irrimediabilmente con il
passaggio dalla vita nomade a quella stanziale, basata
sull'agricoltura e l'allevamento: l'uomo deve, a questo punto,
sottolineare la sua supremazia su tutti gli altri esseri viventi,
animali e vegetali, creando la divisione, tutt'ora presente, fra
mondo naturale e mondo culturale.
Limitando la nostra analisi al regno animale, ci imbattiamo
nella prima grande differenza tra animali umani e non umani. La Natura non ha
voluto (o non ha saputo?) dotare questi ultimi della proprietà di comunicare
attraverso parole. Incapace di sentire nelle loro grida e nei loro gesti la
paura, il dolore, il desiderio, l'uomo si è convinto che la forza del suo
intelletto gli conferisca il diritto di appropriarsi della vita di tutti gli
esseri (anche non animali) che popolano l'universo.
La tematica della posizione di parità o inferiorità
dell'animale rispetto all'uomo è risalente nel tempo; se ne trovano
testimonianze nella varietà di opinioni espresse in proposito nella filosofia
greca.
Aristotele, pur convenendo che alcuni animali inferiori
(cioè non umani) hanno in comune con l'uomo alcune caratteristiche, riconosce
solo a quest'ultimo la capacità di ragionare e, proprio su tale assunto,
afferma la liceità dello sfruttamento indiscriminato di tutti i viventi: Le
piante esistono per gli animali, e gli animali esistono per l'uomo (...).
Poiché la natura non fa nulla che sia imperfetto o inutile, ne consegue che ha
fatto gli animali per l'uomo.
Jeremy Bentham |
Contro questa posizione che sostiene la strumentalizzazione
e lo sfruttamento dell’animale, nel XVIII secolo si leva la voce di altri
filosofi, fra cui Jeremy Bentham. Egli, verso la fine del 1700, scrisse:
Verrà un giorno in
cui il resto degli esseri umani potrà acquisire quei diritti che non gli sono
mai stati negati se non dalla mano della tirannia. I francesi hanno già
scoperto che il colore nero della pelle non è un motivo per cui un essere umano
debba essere abbandonato senza protezione ai capricci di un torturatore. Si
potrà giungere un giorno a riconoscere che il numero delle gambe, la villosità
della pelle o la terminazione dell'osso sacro sono motivi insufficienti per
abbandonare un essere sensibile allo stesso fato. Che altro dovrebbe tracciare
la linea invalicabile? La facoltà di ragionare, o forse quella del linguaggio?
Ma un cavallo o un cane adulti sono senza dubbio più razionali e più
comunicativi di un bambino di un giorno, o di una settimana, o persino di un
mese. Ma anche ammesso che fosse altrimenti, cosa importerebbe? Il problema non
è: 'Possono ragionare?', né 'Possono parlare?', ma 'Possono soffrire?.
Questo
passo racchiude diversi concetti che saranno ripresi ai giorni nostri da Peter
Singer, filosofo utilitarista come Bentham. Nello scritto citato, il
comportamento verso i neri viene paragonato a quello verso gli animali,
argomentazione che porterà Richard Ryder a coniare, nel 1983, il termine di
"specismo", col quale si indica il diverso comportamento tenuto da
buona parte del genere umano nei confronti degli animali per il solo fatto che
questi ultimi non appartengono alla nostra specie. Così come i razzisti
discriminano gli uomini in base all'appartenenza a una determinata razza e i sessisti
in base al sesso, gli specisti discriminano gli esseri viventi in base
all'appartenenza o meno alla specie umana. Bentham fornisce quella che, secondo
lui, è la caratteristica che accomuna tutti gli esseri viventi appartenenti al
regno animale, uomo incluso: la capacità di soffrire come di godere ed essere
felici.
L'esempio di Bentham
non portò alla nascita di un movimento in difesa degli animali, né non poteva
essere altrimenti, considerando che, all'epoca in cui lo scrittore viveva, si
iniziava appena a combattere la schiavitù e il razzismo; senza dimenticare che
le donne, ritenute ancora inferiori all'uomo, non avevano diritto di voto.
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