mercoledì 14 novembre 2012

IL RAPPORTO UOMO-ANIMALE

L'origine del rapporto fra uomo e animale, così come la riflessione sull'animale da parte dell'uomo, inizia nella notte dei tempi. Tuttavia il rapporto iniziale era un rapporto naturale (cacciatore/preda) o del tipo amicale. Il contatto fra questi due poli era quindi sì conflittuale, ma non nettamente diviso fra uomini, portatori di diritti, e animali, visti come cose, come utili oggetti, come mezzi. La situazione cambiò irrimediabilmente con il passaggio dalla vita nomade a quella stanziale, basata sull'agricoltura e l'allevamento: l'uomo deve, a questo punto, sottolineare la sua supremazia su tutti gli altri esseri viventi, animali e vegetali, creando la divisione, tutt'ora presente, fra mondo naturale e mondo culturale.



Limitando la nostra analisi al regno animale, ci imbattiamo nella prima grande differenza tra animali umani e non umani. La Natura non ha voluto (o non ha saputo?) dotare questi ultimi della proprietà di comunicare attraverso parole. Incapace di sentire nelle loro grida e nei loro gesti la paura, il dolore, il desiderio, l'uomo si è convinto che la forza del suo intelletto gli conferisca il diritto di appropriarsi della vita di tutti gli esseri (anche non animali) che popolano l'universo.


La tematica della posizione di parità o inferiorità dell'animale rispetto all'uomo è risalente nel tempo; se ne trovano testimonianze nella varietà di opinioni espresse in proposito nella filosofia greca.


Aristotele, pur convenendo che alcuni animali inferiori (cioè non umani) hanno in comune con l'uomo alcune caratteristiche, riconosce solo a quest'ultimo la capacità di ragionare e, proprio su tale assunto, afferma la liceità dello sfruttamento indiscriminato di tutti i viventi: Le piante esistono per gli animali, e gli animali esistono per l'uomo (...). Poiché la natura non fa nulla che sia imperfetto o inutile, ne consegue che ha fatto gli animali per l'uomo.
Jeremy Bentham


Contro questa posizione che sostiene la strumentalizzazione e lo sfruttamento dell’animale, nel XVIII secolo si leva la voce di altri filosofi, fra cui Jeremy Bentham. Egli, verso la fine del 1700, scrisse:


Verrà un giorno in cui il resto degli esseri umani potrà acquisire quei diritti che non gli sono mai stati negati se non dalla mano della tirannia. I francesi hanno già scoperto che il colore nero della pelle non è un motivo per cui un essere umano debba essere abbandonato senza protezione ai capricci di un torturatore. Si potrà giungere un giorno a riconoscere che il numero delle gambe, la villosità della pelle o la terminazione dell'osso sacro sono motivi insufficienti per abbandonare un essere sensibile allo stesso fato. Che altro dovrebbe tracciare la linea invalicabile? La facoltà di ragionare, o forse quella del linguaggio? Ma un cavallo o un cane adulti sono senza dubbio più razionali e più comunicativi di un bambino di un giorno, o di una settimana, o persino di un mese. Ma anche ammesso che fosse altrimenti, cosa importerebbe? Il problema non è: 'Possono ragionare?', né 'Possono parlare?', ma 'Possono soffrire?.


Questo passo racchiude diversi concetti che saranno ripresi ai giorni nostri da Peter Singer, filosofo utilitarista come Bentham. Nello scritto citato, il comportamento verso i neri viene paragonato a quello verso gli animali, argomentazione che porterà Richard Ryder a coniare, nel 1983, il termine di "specismo", col quale si indica il diverso comportamento tenuto da buona parte del genere umano nei confronti degli animali per il solo fatto che questi ultimi non appartengono alla nostra specie. Così come i razzisti discriminano gli uomini in base all'appartenenza a una determinata razza e i sessisti in base al sesso, gli specisti discriminano gli esseri viventi in base all'appartenenza o meno alla specie umana. Bentham fornisce quella che, secondo lui, è la caratteristica che accomuna tutti gli esseri viventi appartenenti al regno animale, uomo incluso: la capacità di soffrire come di godere ed essere felici.


L'esempio di Bentham non portò alla nascita di un movimento in difesa degli animali, né non poteva essere altrimenti, considerando che, all'epoca in cui lo scrittore viveva, si iniziava appena a combattere la schiavitù e il razzismo; senza dimenticare che le donne, ritenute ancora inferiori all'uomo, non avevano diritto di voto.

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